Coco, il nuovo film della Pixar, laddove nessuna tecnica di animazione era mai giunta prima

da Milano – Com’è la vita dopo la morte? Devono esserselo chiesto quelli della Pixar, probabilmente con Dreamwork la più avanzata e “potente” società di animazione CGI (computer-generated imagery) in circolazione.

A dire il vero dopo film delicati come Alla ricerca di Nemo o Toy Story, la Pixar ha cominciato a evolvere i soggetti e le
sceneggiature confrontandosi con argomenti sempre più complessi, come in Inside Out, che esplora il mondo delle emozioni umane. Ma ora l’asticella viene ulteriormente alzata e la società della Walt Disney si spinge ben oltre esplorando il mondo dei morti. Lo fa con Coco, il suo prossimo lungometraggio di cui è già disponibile un trailer che potete gustarvi nella nostra Home Page.

La storia è quella di Miguel una ragazzo messicano di 12 anni che sogna di diventate un musicista ma per farlo deve vincere un’antica maledizione di famiglia. Quale momento migliore per varcare i cancelli dell’oltretomba e spezzare il maleficio che la festa Día de los Muertos, o “Giorno dei morti”? Una celebrazione tipicamente messicana che si svolge i giorni 1 e 2 novembre e che ricorda Halloween ma ha radici molto più profonde risalenti a oltre 500 anni prima, il tempo degli Aztechi. La festa viene celebrata con musica, bevande e cibi tradizionali dai colori vivi, combinati a numerose rappresentazioni caricaturali della morte. La scelta di un protagonista messicano e di una festa dedicata ai morti tutta messicana è tutt’altro che casuale, perché da qui attinge a piene mani il lungometraggio per ricreare atmosfere e personaggi.


Ma veniamo alla parte “tecnica”
, la Pixar (come Dreamwork e altre società d’oltreoceano) è ormai un punto di riferimento inarrivabile per l’animazione 3D, tanto da fare sembrare le produzioni europee come fatte a casa, nel tempo libero. Certo, c’è qualche eccezione, come la francese Illumination Mac Guff, quelli di Cattivissimo Me, tanto per intenderci, che però vincono non tanto sul lato tecnico (peraltro eccellente la qualità del rendering) ma sull’ironia e i personaggi. Per anni le compagnie di animazione 3D d’oltre oceano hanno complicato la vita ai concorrenti, anno dopo anno, senza mai permettere di ridurre il gap tecnico. Prima i capelli animati uno a uno, poi i peli degli animali, poi luci e ombre sempre più realistiche, Milioni di calcoli, anzi miliardi per le povere CPU deputate al rendering.

Bene ora per “ammazzare” definitivamente la concorrenza e spezzare anche le ultime tenui velleità, hanno messo in piedi un “teatro di luci” terrificante. 7 milioni di “luci”, ovvero di punti luce regolabili in un sol colpo. Tante ne sono servite per ricreare un ambiente unico nel suo genere, mai visto prima in un film di animazione, con immagini
impressionati. Per gestire questo imponente quantitativo di luci è stato creato un complesso sistema di raggruppamento per allocare i punti luce in 15 categorie (un po’ come si fa in Unity, ma li si gestiscono 10/20 punti luce non se-tte-mi-li-oni).

Poi gli scheletri, iconografia inconfondibile della festa Día de los Muertos, che però sono stati abbigliati come persone umane. Piccolo problema: gli abiti umani non possono collidere con gli arti nello stesso modo in cui fanno con gli umani in carne e ossa. Manca banalmente “la ciccia” intorno alle ossa e questo porterebbe gli abiti 3D, seguendo la fisica applicata al rendering, a “incastrarsi” tra le giunzioni oppure a ricadere in modo anomalo. Per ovviare a questo problema gli animatori hanno creato un’impalcatura trasparente in grado di riempire gli spazi e rendere il movimento degli abiti naturale, come siamo abituati a vederlo.

Una sorta di scheletro sopra lo scheletro.
Infine, dopo che per anni gli studios del resto del mondo si sono “ammazzati” per cercare di creare peli che fossero simili, come fisica di movimento, a quelli dei principali lungometraggi, la Pixar ha deciso ancora una volta di giocare in contropiede: il cane protagonista, Dante, non ha peli. Nessuno. È completamente glabro. Non c’è neanche una minima pellicciotta in grado di nascondere eventuali errori di rendering sulla texture sottostante, la pelle è lì, in bella mostra, iperrealistica con nervature in rilievo, graffi, sporcature e altri difetti tipici dei cani di strada. Le mesh non sono trattate come un “unicum” ma come tanti piccoli pezzi indipendenti per dare alla superfice il corretto volume in ogni suo punto.
Il motore di rendering è “il solito” RenderMan (peraltro scaricabile dal sito della Pixar) creato proprio della compagnia della Walt Disney. E, naturalmente, non manca la cura maniacale dei movimenti, come per il polpo Hank nel recente Alla ricerca di Dory, semplicemente inarrivabile.

Coco uscirà il 21 dicembre in Italia e il 22 novembre negli Stati Uniti.

 

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